La vita va e io resto ferma a guardarla.
Ripercorro i miei anni e sento un vuoto che resta, a fatica trascino questo corpo pesante nello spazio che mi è concesso.
Fuori tutto è in movimento, l’imperfezione danza, qui invece è un’ossessione.
Cosa c’è di vero in quello che sto vivendo?
Non riesco più a sentire, vacillo tra il sogno e la realtà e io sono nel mezzo, sospesa senza considerare più il tempo.
Ma là qualcuno mi attende.
Credevo che l’idea per questo progetto fosse solo frutto di un’intuizione.
Un giorno ho pensato “vedo una donna in una casa vuota, lei è sola, eppure vestita elegantemente”.
Mentre visualizzavo le foto che avrei scattato, pensavo che queste immagini rappresentassero la sensazione di isolamento che molti di noi hanno sperimentato durante il lockdown e che io personalmente avevo già rielaborato in una serie di foto scattate proprio durante quei mesi.
Eppure l’immagine di questa donna sola, imprigionata in una gabbia dorata senza sbarre o lucchetti, mi chiedeva di essere trasformata in qualcosa di reale, comprensibile.
Volevo che la modella avesse uno sguardo vuoto, assente innanzitutto a se stessa, ma mentre nella mia mente trasformavo questa immagine in qualcosa di sempre più vivo, contemporaneamente aumentava la sensazione di deja-vù e inadeguatezza rispetto a quello
che volevo rappresentare.
Poi ho capito che Lei sarebbe stata finta, letteralmente ancor prima che simbolicamente.
Ho iniziato a cercare manichini, bambole e infine sex dolls a grandezza naturale abbastanza realistiche da instillare il dubbio sulla loro essenza, in modo da creare una sensazione di perturbamento che nella robotica viene chiamato Uncanny Valley (valle perturbante): ovvero
quel fenomeno di familiarità ed empatia che creiamo istintivamente con le cose antropomorfe, ma che degenera nella sgradevole sensazione che qualcosa sia “sbagliato” quando questa verosimiglianza arriva ad ingannarci.
Ho trovato la bambola, i vestiti e la casa, ho fatto le foto. E solo a quel punto ho capito cosa stavo realmente facendo. Stavo rielaborando per la prima volta la mia anoressia.