duecentometri

Il 20 marzo 2020, all’apice della fase più drammatica dell’emergenza covid19 in Italia, le regioni maggiormente colpite hanno cercato di arginare il contagio imponendo delle misure restrittive per tutta la popolazione. Una delle più significative è stata quella di limitare gli spostamenti, per chiunque non fosse esentato da motivazioni lavorative o di salute, ad un raggio di 200 metri dalla propria abitazione.

In quei giorni di paura e incertezza per la maggioranza di noi, sacrificio, lutto e dolore per tanti altri, ognuno ha cercato di esorcizzare in vario modo questa minaccia invisibile: flash-mob di solidarietà verso gli operatori sanitari, concerti improvvisati ai balconi, attività sportive dentro corridoi o tra i tetti dei condomini, maratone televisive, classici della letteratura finalmente iniziati e finiti, esperimenti culinari condivisi nei social network…

Il mio modo di confrontarmi con questa situazione, ovviamente, non poteva che essere la fotografia.

Solo un mese prima avevo finito di leggere L’Eternauta di Oesterheld e Solano López, nel cui incipit una nevicata aliena e misteriosa uccide gran parte della popolazione. Adesso mi ritrovavo chiusa in casa, con la minaccia di un virus di cui non erano chiare origine, mortalità e modalità di contagio. Dopo aver assimilato tanta fantascienza, ci trovavamo immersi in una condizione in cui il surreale era diventato reale.

In un’epoca in cui la globalizzazione ha sancito che fermarsi è impossibile, cosa succede quando ci fermiamo? In questa immobilità che tutti abbiamo dovuto provare, come viviamo i nostri spazi domestici e soprattutto gli spazi interiori? Cosa succede attorno a noi e dentro di noi?

Non era possibile pianificare il domani, con tutto il timore che questo comporta, ma ciò ha portato anche la necessità di vivere il presente più intensamente, forse persino consapevolmente.

Volevo registrare tutto questo, ma non potevo allontanarmi oltre 200 metri da casa, non potevo nemmeno entrare nei giardini dei miei vicini e potevo utilizzare solo l’attrezzatura fotografica e il materiale che avevo con me.

Così ho deciso di raccontare con quello che avevo a disposizione il dentro e il fuori della mia esperienza personale, una dicotomia fluida tra esteriore e interiore in cui le fotografie ambientate dentro casa rappresentano il desiderio di rinascere in un mondo migliore e di esplorarlo, mentre quelle in esterna documentano il coraggio e la resilienza con cui le persone vicine a noi hanno affrontato gli stessi limiti.

Ecco quindi cieli che diventano oceani dentro cui tuffarsi, letti come porti da cui salpare verso viaggi onirici, uova pasquali che tornano a simboleggiare rinascita, stanze che si trasformano in utero e farina in liquido amniotico. E mentre in me avvengono queste metamorfosi, la gente attorno a me lavora la terra, gioca a tombola pur mantenendo il distanziamento sociale, impara a conoscersi e mi ricorda che l’amore è la prima cosa cui fare affidamento per ricominciare a sperare.

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Nel silenzio tombale di questa primavera solo alla natura è permesso di uscire e farsi sentire. Nella “sua” gioia di rinascita a me non rimane che fare da spettatore di una natura che giorno dopo giorno cambia scena. Foglie, gemme, fiori e ora frutti! Mi godo lo spettacolo inerme e, attorniata da farfalle, uccelli e api rumorose, aspetto con ansia il mio momento di entrare in scena: appena il regista covid19 mi darà il via.
Andrà tutto bene! (spero)
Avevo deciso di alzarmi di buonora, alle 5, per andarmi a vedere il sorgere del sole, sul Col di Dante. Esco di casa alle 5.30, bello fresco, mi incammino con le mie racchette verso la meta. Era la bellezza di un mese e mezzo che non uscivo di casa, per colpa del famigerato Coronavirus, mi sembrava un sogno poter muovere le gambe, spedito e allegro, ridevo da solo, ritrovavo vita, guardandomi in giro, sentire i galli cantare e gli uccelli cinguettare. Ragazzi, vi giuro che una sensazione simile era un pezzo che non la provavo. Il camminare, l’andare in bicicletta, dopo che sono andato in pensione, è la mia principale occupazione. L’ho visto il sorgere del sole, ore 6.10, una palla di fuoco che punta piano piano dalle colline di Valdobbiadene e illumina in un batter d’occhio tutte le nostre colline, stupendo. Il famigerato Coronavirus. Credo abbia fatto paura a tutti noi, giovani e meno giovani, forse in maniera diversa, ma sempre paura era. Svegliarsi al mattino e per prima cosa cercar di capire se stai bene, senza tosse, raffreddore e chiedere a chi ti sta a fianco come ha passato la notte, se ci sono problemi di salute. Durante la giornata bersagliati di notizie sempre peggiori. Morti, tanti, mi sembra che la famosa curva abbia raggiunto il suo picco, ora sta scendendo, speriamo bene.
Il papà è rimasto senza lavorare per 2 mesi a causa della pandemia e mia figlia mi ha detto: “Sai mamma… vorrei che papà tornasse a lavorare in settembre come noi bambini che abbiamo le scuole chiuse”.
Nel momento delle foto stavamo giocando a carte come ogni domenica, giorno di ritrovo familiare. Condividiamo il tempo, le risate, le chiacchere e ci leghiamo sempre di più. Il covid ci ha fatto apprezzare nuovamente le piccole cose, emozioni, condivisioni e opinioni.
Cara Vania è stata una primavera molto strana, con tanti pensieri per me e per la mia famiglia, perché la paura era ed è sempre dietro l’angolo, ma nello stesso tempo possiamo anche ringraziare il Buon Dio che fino adesso ci ha sempre protetti. Solo al pensiero di tutti quei morti mi viene sempre un po’ di malinconia. Siamo fiduciosi, cerchiamo di sorridere ed essere felici. - In questo periodo difficile, almeno ci sono le signore che mi fanno passare delle belle domeniche all’aperto. - Abbiamo passato una situazione difficile, ma insieme ce l’abbiamo fatta. Ora guardiamo avanti e speriamo bene.
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